"Troppo filo-americani"
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La Repubblica, il Vaticano
boccia l'Italia
February 8, 2003
Amarezza e preoccupazione nella
Santa Sede
"La politica di Bush mette
in crisi la funzione dell'Onu"
"Troppo
filo-americani"
il Vaticano boccia l'Italia
La Chiesa non è convinta che
l'Iraq sia una minaccia immediata
"Grave rottura nella
continuità della politica estera italiana"
CITTÀ DEL VATICANO - Giovedì
sera, quando sugli apparecchi televisivi in Segreteria di Stato è
apparso George W. Bush scandendo il suo ultimatum, è calata una
nube di sconforto nel palazzo apostolico. Monsignor Jean-Louis
Tauran, solitamente abile nel controllare le proprie emozioni, è
stato preso da un sentimento di scoramento e chi gli ha parlato
racconta di averlo sentito di colpo molto pessimista. Giovanni
Paolo II, che in giornata aveva seguito una riunione di cardinali
per discutere del funzionamento della Curia, appena è stato
informato dell'intervento di Bush è diventato ancora più
pensieroso del solito.
"Il Papa è
preoccupatissimo per le conseguenze che la guerra può avere sui
civili e sull'assetto politico dell'intera regione", ha
commentato ieri il ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer,
uscendo dal colloquio con il pontefice.
"Robetta",
definiscono gli esperti consultati dal Vaticano le prove contenute
nel discorso di Powell all'Onu. Monsignor Renato Martino, presidente
del dicastero Justitia et Pax, cui Giovanni Paolo II ha affidato il
compito di battitore libero nell'esporre la linea vaticana, sostiene
che "non c'è la dimostrazione chiara e lampante che l'Iraq sia
tra i responsabili del terrorismo internazionale". Né
esisterebbero prove certe che il regime di Bagdad sia dotato d'armi
di distruzione di massa tali da costituire un pericolo imminente per
l'umanità.
"Se ci sono prove serie,
sarebbe bene che venissero prodotte", ripete monsignor Martino
agli ambasciatori che lo vanno a trovare. La questione delle prove,
anche alla luce delle ultime dichiarazioni del ministro della Difesa
americano Rumsfeld, non appare in Vaticano nemmeno più tanto
importante. "La cosa più pericolosa - confida una personalità
che nel sacro palazzo sta seguendo giorno per giorno la crisi - è
che la politica di Bush sta mettendo a rischio la funzione dell'Onu".
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Dalla bocca di un diplomatico
pontificio di lungo corso è uscita in queste ore una profezia
allarmante: "Se Washington andrà alla guerra nonostante un
veto in Consiglio di sicurezza, questo porterà alla distruzione
dell'Onu". Sparirà l'unico elemento regolatore della vita
internazionale, che ha assicurato come camera di compensazione la
stabilità del mondo negli ultimi cinquant'anni. "L'Onu andrà
in soffitta come accadde con la Società delle Nazioni". La
comunità internazionale non avrà più un tavolo neutro su cui
comporre i contenziosi.
Questo - oltre all'allarme per
le reazioni di un miliardo di islamici - è il grande timore che
agita Giovanni Paolo II e i suoi più stretti collaboratori. E
proprio l'ampiezza della posta in gioco sta facendo esplodere
l'amarezza che si respira in Segreteria di Stato per il cammino
imboccato dal presidente del Consiglio Berlusconi. Nella più grande
crisi geo-politica dell'ultima decade la Santa Sede si trova
improvvisamente senza la sponda di sempre: l'Italia. La svolta di
Berlusconi in direzione di un filo-americanismo assoluto lascia
scoperto il Vaticano su un fianco sensibile. "Si sta consumando
la rottura della continuità, che per decenni ha segnato la politica
estera italiana", spiegano Oltretevere.
E tornano due nomi nelle
conversazioni ecclesiastiche: De Gasperi e Andreotti. De Gasperi
aveva impostato la politica estera della Democrazia cristiana su
coordinate destinate a reggere nel tempo. Atlantismo, europeismo,
rapporto con la Chiesa, attenzione agli interessi internazionali
dell'industria italiana. Andreotti è stato il rappresentante fisico
di una politica di fedeltà atlantica, al tempo stesso capace di un
profilo autonomo nelle iniziative verso i paesi dell'Est e il mondo
arabo e nel giudizio sul conflitto israelo-palestinese. Persino
durante la guerra del Vietnam Aldo Moro riuscì a mantenere una
posizione differenziata. Insomma, durante la Prima repubblica
all'Italia, collocata sulle frontiere della Guerra fredda, la sponda
vaticana è stata utile più di una volta per conservare una certa
libertà di manovra. "Questo comune sentire sulle prospettive
internazionali - è la riflessione degli ambienti ecclesiastici - è
ormai entrato in crisi con il governo Berlusconi. Sul tema
dell'Europa prima e oggi di fronte alla prospettiva della guerra
all'Iraq".
È un divorzio, "la fine
della stagione postdemocristiana in politica estera, è la
dimostrazione che il governo punta tutto e unicamente sulla
scommessa dell'America e che i richiami di Berlusconi a De Gasperi
sono destituiti di fondamento", conclude un monsignore. E a
tale riguardo viene indicata la posizione assunta dal cardinale
Ruini, che da presidente della Cei si sta sforzando di far capire
che l'opposizione alla guerra non è antiamericanismo e che
distanziarsi dalle opzioni dell'amministrazione Bush non significa
rompere la solidarietà occidentale.
Ruini ha tentato recentemente
di lanciare un segnale al governo, suggerendo che proprio in nome
dei "principi e valori umanistici" occidentali vanno letti
gli interventi del Papa per una soluzione pacifica della crisi
irachena. "La Chiesa non si estranea dall'Occidente, ma lo
aiuta a esprimere il meglio di sé", ha sostenuto e sostiene il
porporato.
Ma il governo Berlusconi con la
"Lettera degli 8" e le sue scelte operative dimostra di
non volersi smarcare sia pur minimamente dalla linea dettata da
Washington. "La Chiesa non è pacifista - confida con una certa
ruvidità una personalità dell'entourage del Papa - e noi non
c'entriamo con il pacifismo come ideologia. Ma non siamo convinti
che l'Iraq rappresenti una minaccia attuale. Pensiamo che la guerra
produrrà gravissimi danni alla popolazione. E riteniamo che la
politica di Bush non favorisce la prevenzione del terrorismo. Perciò
il Papa dice no alla guerra". Improvvisamente il Tevere s'è
fatto largo.
(8 febbraio 2003)
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